Il cosiddetto “Bonus Bebè Regione Lombardia” (introdotto con DGR n. 4152 dell’8 ottobre 2015) è un contributo economico una tantum di 800 euro per i secondi nati e di 1000 euro dal terzo figlio in poi, quale sostegno socio-economico al percorso di crescita del bambino ed è compatibile con i Fondi Nasko, Cresco, Sostengo e il Bonus bebè Inps. Il Bonus bebè non è previsto nel caso di figlio unico e viene erogato a coloro che rispettano i seguenti criteri di accesso:
• esercitare la responsabilità genitoriale sul bambino;
• residenza continuativa di entrambi i genitori in Regione Lombardia da almeno 5 anni. Nel caso di famiglia mono genitoriale il requisito della residenza deve essere soddisfatto dal genitore richiedente il bonus;
• bambini nati nel periodo compreso tra l’8 ottobre 2015 e il 31 dicembre 2015; a partire dal secondo figlio dello stesso nucleo familiare presente nello stato di famiglia;
• ISEE rilasciato ai sensi del DPCM n. 159/2013 non superiore a € 30.000 da ritenersi valido anche nel caso in cui nel nucleo familiare non sia ancora inserito l’ultimo figlio nato nel periodo tra l’8/10/2015 e il 31/12/2015.
Secondo le associazioni ASGI (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione) e Avvocati Per Niente, proprio il requisito di 5 anni di residenza per entrambi i genitori, non risponderebbe “ai criteri di ragionevolezza indicati dalla Corte Costituzionale, perché un’amministrazione, una volta che abbia scelto di intervenire su un bisogno sociale, come quello della tutela della maternità, non può introdurre requisiti di residenza sproporzionati e troppo esclusivi, senza tener conto degli altri elementi di radicamento territoriale della persona bisognosa”.
La questione è arrivata alla Corte d’Appello di Milano (presidente Vitali e relatore Cassella), che, in parziale riforma dell’ordinanza 11 marzo 2016 del Tribunale di Milano, ha accolto le suddette tesi, con sentenza n. 463/2019 del 26 febbraio 2019.
Pur non essendo ancora state depositate le motivazioni della decisione in parola, la Corte ha dichiarato “il carattere discriminatorio della delibera della Giunta della Regione Lombardia n. X/4152 dell’8 ottobre 2015 nella parte in cui prevede, ai fini dell’accesso al c.d. bonus bebè regionale, il requisito dei cinque anni continuativi di residenza nella Regione Lombardia di entrambi i genitori del nuovo nato”.
Il requisito, infatti, è sproporzionato perché non prende in considerazione gli altri possibili motivi di collegamento della persona con il territorio; inoltre, pur non escludendo espressamente gli stranieri, la norma tende ad escluderli dall’accesso alla misura perché normalmente hanno una minore anzianità di residenza e spesso i due genitori fanno ingresso nel territorio nazionale e regionale in momenti diversi, per via del meccanismo del ricongiungimento familiare.
Inoltre, da un esame “comparatistico”, si può notare che requisito introdotto dalla Regione Lombardia sia – con l’eccezione del Friuli Venezia Giulia – il più elevato previsto dalle varie legislazioni regionali, che, normalmente, richiedono due anni di residenza per un genitore.
“Perseguendo l’obiettivo di escludere gli stranieri, le scelte di molte amministrazioni, come quella lombarda, finiscono per premiare solo il “bisognoso immobile” anziché quanti si muovono con coraggio alla ricerca di condizioni di vita migliori, e cosi penalizzano il dinamismo della società, danneggiando non solo gli stranieri ma anche gli italiani – ha dichiarato l’avv. Alberto Guariso che ha rappresentato le associazioni assieme all’avv. Livio Neri – Ora la sentenza della Corte d’appello milanese deve far riflettere anche sulla scelta di richiedere 10 anni di residenza per il reddito di cittadinanza“.
Avv. Federico Maraviglia
Studio Legale Paganini