In questi anni la rappresentanza imprenditoriale sta vivendo un momento di innegabile crisi, che la sta portando a trasformarsi, a valutare nuove sfide per entrare nella modernità delle dinamiche sindacali, politiche ed economiche dell’epoca contemporanea globalizzata e ad assumersi un nuovo ruolo, a cambiare la propria mission, a cambiare funzioni. Tra le varie attività che le associazioni datoriali stanno sperimentando in questo periodo sono i servizi alle aziende in materia di politiche attive e transizioni occupazionali. Rispetto a queste attività, non sono pochi i punti di forza che i corpi intermedi possono vantare.
Le associazioni datoriali sono, prima di tutto, rappresentanti del mondo delle imprese associate. Come sempre la rappresentanza, comunque la si declini, comporta che il rappresentante agisca nell’interesse dell’interessato. Oggi, i rappresentati, cioè le imprese, chiedono sempre più spesso all’associazione datoriale di occuparsi delle risorse umane da inserire nel loro organigramma. In vario modo, le aziende chiedono di essere coadiuvate nella gestione del capitale umano, al quale attribuiscono – soprattutto in questo periodo economicamente poco florido – molta importanza e si rendono conto maggiormente di quanto una persona “giusta” possa essere determinante per l’andamento aziendale.
L’associazione datoriale è, pur sempre, un’importante struttura di servizio, una sorta di terziario associativo che supporta l’attività imprenditoriale di centinaia di migliaia di imprese, nonché gli adempimenti di milioni di lavoratori. Un’attività costante in materia di politiche attive e transizioni occupazionali, messa a sistema con il servizio paghe e contributi, la consulenza del lavoro e legale nonché la medicina e la sicurezza del lavoro (servizi già a regime in molte territoriali) consente all’associazione di “coprire” tutto il panorama della gestione delle risorse umane.
Da questo punto di vista, le associazioni datoriali dovrebbero rendersi conto di avere un grande vantaggio competitivo rispetto ad altri enti, pubblici o privati, che lavorano nel settore: il contatto continuo con le imprese. Le associazioni datoriali associano numerosissime imprese, delle quali conoscono praticamente tutto, molto spesso le seguono da anni nelle vicissitudini aziendali e sovente i funzionari dell’associazioni conoscono personalmente gli imprenditori. Questi contatti, questa conoscenza reciproca coltivata negli anni, sono un grande punto di forza che non ha nessun centro per l’impiego, nessun ente accreditato e nessun ente di formazione.
Al di là, poi, del risvolto economico, ci sono alcune dimensioni – che individuano le leve strategiche sulle quali le associazioni dovrebbero agire – che si vedrebbero rafforzate da queste attività. Ad esempio, la capacità di stabilire rapporti con gli enti pubblici e le istituzioni scolastiche. Le associazioni datoriali dovrebbero costruirsi un ruolo nel progettare i percorsi educativi e formativi, poiché vi è la necessità non solo di regole chiare (che spesso poi risultano comunque ineffettive), ma anche di attori sul territorio in grado di fornire un contributo alla modernizzazione dei sistemi educativi di istruzione e formazione.
Certamente, poi, l’impegno che le associazioni datoriali possono profondere per il radicamento e la diffusione dei servizi di orientamento e di sostegno al lavoro soddisfano anche un interesse trasversale, che comprende tanto quello dei datori di lavoro, quanto quello dei cittadini in cerca di lavoro, quanto anche quello delle istituzioni scolastiche e formative e delle strutture preposte allo sviluppo economico ed occupazionale.
Tutto quanto appena descritto va analizzato, appunto, in stretta correlazione con il territorio.
Questo perché le dinamiche delle moderne transizioni professionali hanno sempre più una marcata caratterizzazione – e dimensione – territoriale. I cambiamenti demografici e ambientali degli ultimi anni hanno già contribuito a delineare una «nuova geografia del lavoro» che mette radicalmente in discussione gli assunti su cui si è fino ad oggi basato il modello di organizzazione e disciplina giuridica del mercato del lavoro nel nostro Paese e con esso il teorizzato passaggio da un diritto del contratto di lavoro alle politiche attive e di ricollocazione “da posto a posto”.
Nell’ambito della grande trasformazione del lavoro acquistano, infatti, una nuova centralità elementi quali: il livello territoriale di articolazione delle politiche, il profilo degli attori coinvolti nella loro attuazione e il ruolo delle parti sociali, i modelli di governance più idonei a gestire una sempre maggiore complessità, gli strumenti per lo sviluppo della occupabilità duratura e la creazione di “ponti” verso opportunità di lavoro di qualità (tirocini, apprendistato, formazione continua), la personalizzazione degli interventi a fronte del diversificarsi dei rischi di “fragilizzazione” delle carriere.
La rivoluzione tecnologica sta oggi generando un complesso di interrelazioni dando così origine ad un ecosistema umano di carattere locale, che facilita la creazione di nuove idee e nuovi modi di “fare impresa” e l’affermarsi di un’economia globale ma allo stesso locale, con una forte connotazione reticolare. Questa continua tensione tra globale e locale che si viene a creare potrebbe essere governata valorizzando maggiormente la rappresentanza territoriale.
Se così è, un modello di riferimento “ottimo” per le politiche attive del lavoro dovrebbe essere caratterizzato dalla territorialità, che è un principio, in parte derivato da quello di sussidiarietà, che rimanda all’ancoraggio delle politiche, dei servizi e degli interventi per il lavoro a specifici contesti territoriali e, quindi, economico, sociali, culturali, nei quali i dispositivi di azione devono produrre i loro effetti di tipo occupazionale. Ciò significa valorizzare il decentramento territoriale, sia dal punto di vista politico che amministrativo e di gestione di risorse, che consenta il coinvolgimento delle Parti Sociali anche nella fase di progettazione e di attuazione.
Per avere politiche attive efficaci, nella loro definizione vanno coinvolti attori locali come le associazioni datoriali o gli enti di formazione.
Purtroppo, nell’attuale modello di organizzazione e disciplina del mercato del lavoro, il ruolo e l’apporto delle parti sociali e degli enti loro espressione, ai diversi livelli di intervento, resta residuale. Invece, un altro nodo che sembra destinato a diventare sempre più centrale e cioè la disciplina dei soggetti autorizzati in virtù di regimi speciali e agevolati ai sensi dell’articolo 6 del decreto legislativo n. 276/2003. Tale materia sembra oggi rivestire un ruolo cruciale: è mediante la disciplina dei regimi speciali di autorizzazione che entra in gioco l’insieme diversificato di attori sociali chiamati a concorrere alla strutturazione di specifici mercati transizionali (quelli che si strutturano tra la scuola e il lavoro, in specifici settori, comparti o aree territoriali), ma anche le piattaforme internet che sempre più strutturano veri e propri mercati del lavoro virtuali che sfuggono agli intermediari tradizionali.
Di estrema importanza è anche lavorare sulla qualificazione degli operatori, che necessitano di un’apposita preparazione e sulla qualità dei progetti, che dovrebbero essere pensati per contesti specifici e destinati a gruppi precisi di individui, nonché, ovviamente, adeguatamente finanziati.
Molta attenzione va riposta su apprendistato e tirocini, due istituti che da tempo si contendono il primato di principale canale per l’inserimento occupazionale dei giovani. Per quanto riguarda, nello specifico, l’apprendistato, che è allo stesso tempo un contratto, un tassello del sistema di istruzione e formazione e uno strumento di politica attiva, va necessariamente riconsiderato l’apporto della contrattazione territoriale.
È innegabile che la contrattazione territoriale stia assumendo un ruolo centrale nel quadro delle politiche per lo sviluppo e l’occupazione e delle tutele sociali, come strumento volto a potenziare le realtà locali per competere in un’economia sempre più globalizzata. Tant’è che l’importanza del livello locale di regolazione è cresciuta molto negli ultimi anni nei paesi europei ed assume una particolare rilevanza in quei paesi che hanno una grande varietà regionale di sviluppo, come ad esempio l’Italia. Non mancano, infatti, autorevoli voci che sottolineano l’importanza di un approccio più aperto e decentralizzato alle politiche di sviluppo, con una impostazione place-based che richiede la collaborazione attiva degli stakeholder locali. In questo quadro, l’attività che le associazioni datoriali stanno attuando, anche in materia di transizioni occupazionali, consistenti, in primis, nella contrattazione territoriale, le rende capaci di dotarsi di una maggiore chiarezza identitaria e di valorizzare il loro prezioso ruolo di strutture di servizio a sostegno dell’attività imprenditoriale e dei lavoratori.
Oltre a ciò, le associazioni datoriali stanno oggi investendo nella creazione di reti di strutture collegate per sviluppare l’alternanza, l’apprendistato, i servizi al lavoro, intervenendo così su una delle principali criticità del sistema italiano – la frammentazione e la mancanza di sistematicità delle azioni di politica attiva – che oggi ha necessariamente bisogno di tutti gli attori, non solo di coloro che sono specificatamente adibiti a questo, ma anche di imprese, sindacati, istituzioni locali, scuole, università. Tutti questi sono, per le imprese e per i territori, interventi di sistema preziosi per creare le condizioni della produzione e della crescita occupazionale.
Se, da un lato, autorevole dottrina ha sostenuto il carattere “di risposta” e non necessario dell’associazionismo datoriale, dall’altro lato, oggi, in tempi caratterizzati da un restringimento dei margini di manovra delle associazioni datoriali, causato in parte anche dal decisionismo governativo e dall’affermazione di movimenti politici ripiegati su istanze di disintermediazione sociale, il ruolo degli attori collettivi andrebbe preservato come elemento di fondamentale vitalità delle istituzioni democratiche. A maggior ragione, questo ruolo andrebbe preservato e incrementato a livello territoriale – anche mediante l’intervento delle associazioni datoriali nelle politiche attive del lavoro e nelle transizioni occupazionali – ove più le parti sociali possono spendersi per lo sviluppo locale.
Avv. Eleonora Paganini
Dottore di ricerca in formazione della persona e mercato del lavoro
Studio Legale Paganini