Lo Studio Legale Paganini Cardaci, da sempre impegnato nelle tematiche relative al diritto di famiglia, propone un approfondimento sul concreto esercizio dell’attività di ascolto giudiziale del minore nei procedimenti che lo riguardano.
L’art. 336 bis c.c., entrato in vigore a partire dal 7 febbraio 2014, prevede che: “[I]. Il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento è ascoltato dal presidente del tribunale o dal giudice delegato nell’ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano. Se l’ascolto è in contrasto con l’interesse del minore, o manifestamente superfluo, il giudice non procede all’adempimento dandone atto con provvedimento motivato. [II]. L’ascolto è condotto dal giudice, anche avvalendosi di esperti o di altri ausiliari. I genitori, anche quando parti processuali del procedimento, i difensori delle parti, il curatore speciale del minore, se già nominato, ed il pubblico ministero, sono ammessi a partecipare all’ascolto se autorizzati dal giudice, al quale possono proporre argomenti e temi di approfondimento prima dell’inizio dell’adempimento. [III]. Prima di procedere all’ascolto il giudice informa il minore della natura del procedimento e degli effetti dell’ascolto. Dell’adempimento è redatto processo verbale nel quale è descritto il contegno del minore, ovvero è effettuata registrazione audio video.”
La giurisprudenza era giunta da tempo a riconoscere il diritto all’ascolto del minore, anche sulla scorta della normativa sovranazionale, in particolare, con la convenzione di New York sui Diritti del Fanciullo del 1989 e con la Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti del fanciullo del 1996, che hanno previsto il diritto del minore ad essere informato delle procedure che lo riguardano e di esprimere la propria opinione in seno ad esse, nonché, a livello comunitario, con il Regolamento CE n. 2201/003 del 27 novembre 2003 il quale ha stabilito che le decisioni relative alla responsabilità genitoriale non sono riconosciute «se, salvo i casi d’urgenza, la decisione è stata resa senza che il minore abbia avuto la possibilità di essere ascoltato, in violazione dei principi fondamentali di procedura dello Stato membro richiesto».
Dopo l’intervento legislativo l’esigenza di una previsione esplicita dal punto di vista deontologico è stata quindi determinata dalla ricorrente frequenza di casi disciplinari. Una decisione particolarmente rilevante tra le non poche aventi ad oggetto il rapporto dell’avvocato con un minore è stata la n. 27/2009 del C.N.F. del 28.9.2008/4.5.2009, est. Borsacchi, secondo la quale “Viola i doveri di correttezza e indipendenza il professionista che, impegnato nel campo dei rapporti di famiglia, pone in essere condotte professionali tendenti al coinvolgimento di minori nel giudizio, disattendendo i principi della responsabilità etica e sociale della funzione del difensore, finalizzati alla superiore salvaguardia della posizione del minore”.
Così si spiega l’introduzione nel nuovo Codice Deontologico Forense dell’art. 56, nel quale è ancora una volta centrale la dignità da riconoscere al minore, “persona” da ogni punto di vista.
La capacità tecnica dell’avvocato può e deve manifestarsi intanto sia al momento della richiesta (e quindi della possibilità ed opportunità) dell’ascolto, sia nella scelta della metodologia: ascolto diretto, con l’assistenza dell’esperto o meno, od ascolto indiretto tramite consulente: poiché, infatti, l’ascolto del minore deve essere diretto a raccogliere le opinioni ed i bisogni del minore stesso in merito alla vicenda in cui è coinvolto, esso deve svolgersi in modo tale da garantire l’esercizio effettivo del diritto del minore di esprimere liberamente la propria volontà, e quindi con tutte le cautele e le modalità atte ad evitare interferenze, turbamenti e condizionamenti, ivi compresa la facoltà di vietare l’interlocuzione con i genitori e/o con i difensori, nonché di sentire il minore da solo, o ancora quella di delegare l’audizione ad un organo più appropriato e professionalmente più attrezzato o espletarla con l’ausilio di esso (Cass., Sez. I, 26 marzo 2010, n. 7282).
Tra ammissione e assunzione il giudice deve segnalare i temi sui quali egli intende orientare l’incontro con il minore, che — naturalmente — dovrebbero concernere soprattutto ed in primo luogo i rapporti personali e quelli endofamiliari. Ed ancor prima si tratterebbe di verificare con quali modalità il giudice debba provvedere alla preventiva “informazione” del minore, come previsto ad esempio nelle Linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa per una giustizia a misura di minore, adottate il 17 novembre 2010 (Linea guida 48 e § 111 della relazione esplicativa), modalità auspicabilmente da regolare preventivamente secondo prassi riconosciute e rese pubbliche dall’ufficio.
Sulle modalità materiali dell’assunzione spesso si sono trovati punti di incontro tra gli operatori, anche attraverso i Protocolli, adottati dai Tribunali, che registrano le modalità preferibili per l’ascolto. Se c’è un carattere comune è l’esclusione della presenza personale delle parti e dei professionisti che le assistono dall’ascolto, condotto comunque dal giudice: presenza quindi relegata a momenti (precedenti e successivi) ed a luoghi “esterni” all’audizione. La prevalente esperienza dell’ascolto diretto, assistito o meno dall’esperto, impone quindi la pressante considerazione della necessità di una adeguata competenza del giudice.
La fase finale della valutazione è forse quella che richiede il maggior impegno al giurista pratico, che deve munirsi di conoscenze certamente non curriculari, e che probabilmente non saranno comunque sufficienti se non sorrette dall’ausilio di un esperto. Come chiarito, peraltro, dalla giurisprudenza di legittimità, l’ascolto del minore non è propriamente un mezzo di prova, ma costituisce una modalità di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano, nonché elemento di valutazione del suo interesse (Cass. n. 6129/2015). Quanto alla valenza istruttoria delle dichiarazioni del minore, è evidente come il giudice non sia in alcun modo vincolato ad esse, dovendo valutarle nel complesso delle ulteriori risultanze probatorie a sua disposizione. È tuttavia, ineludibile, una puntuale giustificazione, da parte del giudice, della decisione assunta in contrasto con le dichiarazioni del minore, specie ove il medesimo sia prossimo alla maggiore età ed abbia, quindi, una capacità di discernimento pressoché piena (Cass. n. 6129/2015 cit.).
Avv. Francesca Massaro Avv. Federico Maraviglia
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