I provvedimenti emanati dal Governo per il contenimento del virus Covid-19 hanno disposto la sospensione di determinate attività (in particolare quelle legate ai momenti di aggregazione), nonché la chiusura di esercizi commerciali e, pertanto, possono avere fisiologiche ripercussioni sulle obbligazioni contrattuali. Gli effetti della normativa emergenziale sui rapporti contrattuali devono essere valutati caso per caso, controllando in prima battuta cosa prevede il contratto stesso (verificando, ad esempio l’esistenza di clausole specifiche, l’applicabilità o meno della legge italiana, la natura e le modalità di esecuzione della prestazione, l’esame degli elementi e dei fatti che comportano ritardo o impossibilità della prestazione, l’impatto di tali elementi sugli impegni contrattuali, l’esame delle concrete difficoltà, l’inesistenza di alternative che rendano possibile l’adempimento in termini ragionevoli).
In ogni caso, senza entrare nel dettaglio delle norme internazionali, nel nostro ordinamento giuridico esistono due istituti generali astrattamente invocabili:
A) L’impossibilità sopravvenuta della prestazione (nei contratti internazionali il principio viene disciplinato dalla c.d. clausola force majeure) ricorre quando il debitore, dopo la conclusione del contratto, non è più in grado di adempiere la propria obbligazione. L’impossibilità per rilevare deve essere oggettiva, assoluta, sopravvenuta, inevitabile, imprevedibile, insuperabile. In sostanza, parliamo del c.d. caso fortuito, della forza maggiore e del factum principis (gli ordini o i divieti sopravvenuti dell’autorità -legislativa, amministrativa, giudiziaria-, che rendono impossibile la prestazione, a prescindere dalla condotta tenuta dalla parte obbligata), di cui i recenti D.P.C.M. sono ottimi esempi.
Può essere definitiva, quando è certo che la prestazione non possa più essere eseguita in assoluto; temporanea, quando la prestazione – pur temporaneamente ineseguibile – è ancora suscettibile, in astratto, di adempimento; totale, quando incide sull’intera prestazione; parziale, quando incide solo su parte della stessa.
L’impossibilità sopravvenuta definitiva, se non è imputabile al debitore, comporta la risoluzione di diritto del contratto, l’estinzione dell’obbligazione ai sensi dell’art. 1256 c.c., e la restituzione della controprestazione che sia già stata eseguita secondo le norme sull’indebito (artt. 1463 e 2033 c.c.). Quando invece l’impossibilità sopravvenuta è meramente temporanea, l’obbligazione non si estingue (sempre che il creditore sia interessato a conseguirla in ragione del ritardo intercorso) e deve essere adempiuta non appena possibile (sospensione del contratto); tuttavia, in tale ipotesi, il debitore non può essere considerato responsabile del ritardo nell’adempimento e, conseguentemente, non gli possono essere imputate conseguenze risarcitorie. Quando l’impossibilità (definitiva) della prestazione è solo parziale, il debitore (ove il creditore abbia interesse ad un’esecuzione parziale della prestazione, altrimenti potrà recedere) si libera dall’obbligazione eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile e non è più tenuto all’esecuzione della restante parte di prestazione; in tal caso, il creditore potrà domandare la riduzione della propria contro-prestazione (art. 1464 c.c.).
B) L’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione (nei contratti internazionali il principio viene disciplinato dalla c.d. hardship clause) invece ricorre quando, nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, ovvero nei contratti ad esecuzione differita, una prestazione contrattuale comporti dei costi e degli oneri eccessivi, sempre in ragione di avvenimenti straordinari o imprevedibili (tutti quei fatti che non appartengono al corso ordinario del rapporto giuridico in essere e che non potevano essere ragionevolmente previsti dalle parti al momento della stipula del contratto).
In tal caso, il debitore può domandare la risoluzione del contratto che, ai sensi dell’art. 1458 c.c. avrà efficacia solo con riferimento alle prestazioni non ancora eseguite. La parte che riceve la richiesta di risoluzione può evitarla proponendo di modificare equamente le condizioni contrattuali pattuite, riequilibrando la sinallagmaticità del contratto.
Tuttavia, secondo la giurisprudenza ciò non vale nel caso in cui: il factum principis sia ragionevolmente e facilmente prevedibile, secondo la comune diligenza, all’atto della sottoscrizione del contratto e il debitore non abbia tentato di percorrere tutte le soluzioni alternative astrattamente possibili che gli si offrivano per superare i limiti imposti dai provvedimenti, chiaramente, nel pieno e totale rispetto della legge, e sempre che ciò comporti un sacrificio ragionevole per il debitore stesso.
Infine, si consiglia, in questa fase di difficoltà e di emergenza, di affidarsi al principio generale di buona fede contrattuale che dovrebbe condurre alla comunicazione delle ragioni che determinano complicazioni o impossibilità nell’esecuzione della prestazione e, di conseguenza, eventualmente, alla rinegoziazione degli accordi originari, cosa che sta già avvenendo nella prassi.
Avv. Federico Maraviglia
Studio Legale Paganini Cardaci