Dopo aver esaminato gli effetti della normativa emergenziale sui rapporti contrattuali in via generale (si veda https://www.studiolegalepaganini.com/2020/03/23/inadempimento-e-coronavirus/), appare opportuno soffermarsi in particolare sulla sorte dei contratti di locazione commerciale, investiti dalle c.d. misure di lockdown, argomento peraltro già affrontato da chi scrive nel corso dell’incontro online organizzato dal Gruppo Giovani Imprenditori Varese di Confcommercio (https://www.youtube.com/watch?v=iIxk5UIfbks&feature=youtu.be).
In primo luogo, occorre distinguere i contratti di locazione commerciale dai contratti di affitto d’azienda (o di ramo d’azienda), dal momento che per questi ultimi, in alcuni casi e a certe condizioni, si può anche sostenere che, non potendo il locatore mettere a disposizione l’azienda –oggetto del contratto-, venga meno l’obbligo dell’affittuario di pagare il canone concordato. Soluzione che, invece, la maggior parte dei commentatori esclude per le locazioni commerciali. Un’ulteriore differenza tra le due figure emerge dal dato testuale del D.L. n. 18 del 17 marzo 2020 “Cura Italia”, che ha previsto all’art. 65 un credito d’imposta pari al 60% dell’ammontare del canone di locazione (se effettivamente pagato), relativo al mese di marzo 2020, dei soli immobili rientranti nella categoria catastale C/1 (negozi e botteghe).
A questo punto è necessario dire con chiarezza che il Legislatore, per il momento, non ha stabilito una sospensione dei pagamenti dei canoni di locazione (salvo che nel settore sportivo, all’art. 95 del D.L. sopra citato) e, pertanto, allo stato attuale, permane il generale obbligo per il conduttore di adempiere la propria obbligazione (anche perché non risultano sospese né interrotte le tasse locatizie e immobiliari).
Resta quindi valido il consiglio di tentare un dialogo con la propria controparte, al fine di concordare una sospensione (per tutto il periodo di lockdown) e/o una riduzione (nell’ottica di un riavvio dell’attività commerciale che potrebbe non essere in linea con la situazione anteriore alla pandemia) del canone di locazione.
Al di là del generale obbligo di comportarsi secondo buona fede nell’esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.), il locatore non è costretto a concedere la rinegoziazione (a meno che tale obbligo non sia previsto dallo stesso contratto), ma potrebbe essere interessato a farlo, in primis per non rischiare –in caso di recesso o risoluzione- di trovarsi in futuro con un locale vuoto, in un momento in cui il mercato potrebbe non garantire rapidamente una nuova locazione e, in secondo luogo, perché l’accordo di rinegoziazione può essere registrato gratuitamente (modello 69), comportando anche un risparmio d’imposta per il locatore.
La sospensione del pagamento del canone, invece, potrà essere giustificata dall’impossibilità temporanea (art. 1256, co. II, c.c.) di adempiere la propria obbligazione per tutte quelle attività commerciali effettivamente colpite dal lockdown imposto dal Governo (che, in quanto factum principis, varrà quindi quale causa di forza maggiore). Tuttavia, è bene specificare che l’obbligo di pagare il canone in questo caso non viene meno, ma è solo sospeso e pertanto il conduttore dovrà adempiere una volta cessato il lockdown.
Le altre soluzioni offerte dal Codice Civile e dalla c.d. Legge sull’Equo Canone sono la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.), che però potrà essere evitata dal locatore che ha il potere d riportare il contratto ad equità (e allora non si vede perché non intavolare subito una trattativa di rinegoziazione), ed il recesso per gravi motivi (con preavviso di sei mesi, per i quali resta salvo l’obbligo di pagare il canone) di cui all’art. 27 L. n. 392/1978. Queste ultime soluzioni, peraltro, oltre a comportare la caducazione del contratto, hanno come risvolto negativo per il conduttore, la perdita del diritto all’indennità di avviamento di cui all’art. 34 L. n. 392/1978, se dovuta.
Alla luce delle considerazioni svolte, si ribadisce che appare auspicabile un dialogo con la controparte.
In ogni caso, si consiglia di non procedere ad un’autoriduzione o ad un’autosospensione del canone di locazione, per evitare che il locatore adisca le vie legali, ma si invita, quantomeno a comunicare per iscritto (raccomandata e pec) la volontà di rinegoziare dovuta alla temporanea impossibilità di pagare (comunicazione che potrebbe essere utile anche in caso di eventuali controversie).
Per quanto riguarda gli aspetti processuali, l’art. 103 del D.L. “Cura Italia” ha previsto la sospensione fino al 30.06.2020 l’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, sia ad uso abitativo che diverso, ma, di fatto, tale norma riguarda solo le morosità anteriori alla pandemia, per le quali era già stato emesso un provvedimento di rilascio, che verrà quindi eseguito solo a luglio.
Occorre infine evidenziare che l’art. 91 del D.L. “Cura Italia”, prevede che “il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.
Questa norma, la cui portata generale è comunque discussa a causa della sua collocazione sistematica, calata nell’ambito delle locazioni commerciali colpite dal lockdown (mentre non trova applicazione per tutte le attività che non sono state chiuse dalla normativa emergenziale), non libera il conduttore dai propri obblighi (anche se questi potrebbe andare esente da responsabilità in caso di inadempimento) e non comporta automatismi di sorta, dal momento che ogni situazione andrà valutata singolarmente, ma potrebbe sterilizzare eventuali clausole penali o clausole risolutive espresse, se presenti nel contratto.
Inoltre, la lettura di questa norma, in un’ottica processuale, potrebbe portare il Giudice, in caso di avvio di una causa di sfratto per morosità, a non convalidare lo sfratto (né ad emettere ordinanze provvisorie d rilascio), con conseguente mutamento del rito con obbligo di mediazione civile quale condizione di procedibilità ex art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 (circostanza che evoca, ancora una volta, l’opportunità di trovare un accordo con la propria controparte, anche alla luce dei doveri di buona fede e solidarietà sociale).
Avv. Federico Maraviglia
Studio Legale Paganini-Cardaci