Lo Studio Legale Paganini-Cardaci, propone un approfondimento sul tema dell’evoluzione dei rapporti di coppia nel periodo di lockdown. Tale analisi, è stata condotta prendendo in considerazione sia il punto di vista giuridico, che quello psicologico, con l’ausilio della Dott.ssa Paola Pugina, Psicologa Psicoterapeuta.
Vivere insieme, ventiquattr’ore su ventiquattro. Gestire gli spazi, spesso angusti, di una casa che diventa anche ufficio, anzi uffici se entrambi i coniugi lavorano in smart working. Se ci sono figli lo spazio deve essere adattato anche a scuola, ludoteca, parco giochi. Per il benessere della coppia è importante che i partner riescano a mantenere degli spazi individuali, aree che nutrano il singolo e quindi poi anche quel Noi che è la coppia.
In tempo di quarantena tutto questo diventa difficile. Non è ardito ipotizzare che il livello di nervosismo salga, in tutte le case. Se il Noi è già malato, se l’insoddisfazione aleggia nella coppia, se la relazione vive in uno stato di apparente equilibrio mantenuto su quello che, forse con un po’ di ingenuità, viene spesso definito come equilibrio civile e coabitazione serena è probabile che la quarantena diventi il momento in cui l’insoddisfazione si trasforma in intolleranza dell’altro, la patologia del Noi diventa cronica e l’equilibrio si mostri per quello che già era: apparente.
Ora, sia chiaro: la pandemia non sarà la causa dei divorzi del 2020. Le crisi possono essere superate, e la quarantena può diventare l’occasione per alcune famiglie di ritrovarsi, guardarsi, comprendere di aver percorso una strada che non era buona per sè stessi e per la coppia e trovarne una migliore. Ciò che è certo, e ce lo dice l’esperienza cinese che ha visto aumentare le richieste di separazione e divorzio non appena aperte le case, è che ciò che non è sanabile ed è stato tenuto insieme, forse per mancanza di spazi adeguati di riflessione, potrebbe rompersi.
La pandemia ci ha obbligati a fermarci, e quando sospendiamo il nostro ritmo frenetico può essere che emerga tutto ciò che ci siamo fino a poco prima negati di ascoltare. Dall’altro lato, lo stato nel quale ci troviamo può portarci ad affrontare le tematiche che affiorano con uno stato d’animo che spinge all’azione e alla recisione di quei ponti che in altre situazioni continueremmo a gettare. Insomma, prima di procedere all’atto dovremmo capire quanto si stia agendo, e agire implica consapevolezza, scelta e direzione, e quanto invece si stia reagendo, e reagire implica un movimento non del tutto controllato e mediato tra sfera emotiva e cognitiva.
In tale contesto dobbiamo purtroppo evidenziare anche l’inasprirsi di situazioni nella quali la violenza e i maltrattamenti si presentano come elementi costanti della relazione di coppia; si configurano pertanto ipotesi ben più gravi, dove la coabitazione forzata crea un isolamento del tutto nocivo per chi è vittima di violenza e necessita di protezione dal proprio ambiente domestico, condiviso obbligatoriamente con il proprio maltrattante.
Si ritiene opportuno quindi analizzare quali siano i rimedi offerti dal Legislatore a tutela dei diritti delle donne che subiscono violenza, alla luce dell’attuale emergenza sanitaria, nonché come gli stessi si pongano rispetto alle rigide restrizioni imposte dallo Stato con l’emanazione dei D.P.C.M. che si sono susseguiti dal mese di marzo scorso sino ad oggi, e dalle Ordinanze Regionali.
Tali disposizioni, per quanto risultino assolutamente stringenti, soprattutto nei territori, al tempo dell’emissione del D.P.C.M. dell’08.03.2020 categorizzati come “zone rosse”, sono accomunate dalla facoltà di potersi spostare dalla propria abitazione in caso di “stato di necessità”.
Ebbene, sembra pacifico che una donna, in caso di emergenza, possa recarsi presso un centro antiviolenza, o comunque possa allontanarsi dalla propria abitazione configurandosi tale azione come esigenza di proteggere sé stessa da un grave pericolo; tale fattispecie, configurerà infatti uno stato di necessità.
Bisogna tenere tuttavia presente che i Centri antiviolenza, a loro volta, hanno dovuto sospendere i colloqui ovvero limitarli ai casi di eccezionale urgenza e nel rigoroso rispetto delle previsioni anti contagio stabilite dal Governo; lo stesso dicasi per l’accoglienza e la consulenza legale, attività anch’esse assoggettate ai predetti limiti.
I servizi che sono rimasti pienamente garantiti sono le consulenze telefoniche, che parrebbero tuttavia più difficoltose da utilizzare come strumento di tutela, vista la coabitazione della vittima e del suo maltrattante, e che potrebbero giustificare il riscontrato calo di denunce registrato durante l’attuale fase di lockdown.
In conclusione, si ritiene di poter affermare che la mancanza dell’autocertificazione in circostanze di emergenza, non impedirà lo spostamento a chi, vittima di violenza domestica, avrà necessità di proteggere sé stessa, recandosi presso un centro antiviolenza.
La violenza, subita o assistita, è un fenomeno che spesso fatica ad emergere. Negli anni molto è stato messo in atto per facilitare il processo di consapevolezza e sostegno psicologico e legale alle vittime. Dobbiamo sperare che la pandemia non diventi un buco nero in un sistema già delicato e difficile prima dell’arrivo del Covid-19, auspicando mezzi alternativi di denuncia e possibilità di accoglienza reale presso i Centri Antiviolenza.
Dott.ssa Paola Pugina Avvocato Francesca Massaro
Psicologa Psicoterapeuta Studio Legale Paganini Cardaci