Dal 1° giugno, fino al 15 luglio 2020, è partita la corsa all’emersione prevista dall’art. 103 del Decreto Rilancio (D.L. 34/2020).
Venerdì 29 maggio è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto del Ministero dell’Interno, che avrebbe dovuto stabilire le modalità di presentazione delle domande e i dettagli sul procedimento, ma restano ancora molti dubbi e molte perplessità.
Molti hanno già commentato e analizzato l’art. 103 e le informazioni pratiche sulle procedure sono ormai ampiamente disponibili, anche sul sito del Ministero dell’Interno. Quindi, ci concentreremo qui solo su una questione di particolare rilevanza, che riguarda la procedura di cui al comma 2 dell’art. 103.
La norma stabilisce infatti che gli stranieri che chiedono il permesso di soggiorno temporaneo debbano dimostrare, oltre ai requisiti ivi previsti, di aver svolto, antecedentemente al 31 ottobre 2019, attività di lavoro nei settori di cui al comma 3 (in sintesi, lavoro domestico, agricoltura e attività connesse).
Una prima lettura della disposizione parrebbe non escludere i lavoratori che siano stati occupati irregolarmente nei settori citati e questa interpretazione, anche nell’ottica dell’ampia tutela del lavoratore subordinato sancita (anche) dall’art. 2126 c.c., dovrebbe consentire l’accesso alla procedura.
Inoltre, sono proprio le finalità dichiarate dal legislatore, e cioè “favorire l’emersione di rapporti di lavoro irregolari” (art. 103 c. 1, richiamato anche dal successivo comma 2) e “il contrasto del lavoro irregolare e del fenomeno del caporalato” (art. 103 c. 20), a far propendere per un’applicazione ampia, che ricomprenda anche i lavoratori stranieri che abbiano lavorato in nero.
Tuttavia, sul punto, il decreto ministeriale del 27 maggio 2020, all’art. 7 c. 1 lett. d), ha previsto che le domande di permesso di soggiorno temporaneo (che sono presentate, esclusivamente tramite kit postale, al Questore della provincia in cui lo straniero dimora) devono, a pena di inammissibilità, contenere “la documentazione idonea a comprovare lo svolgimento dell’attività di lavoro”. E i documenti ritenuti idonei a provare il rapporto di lavoro sono individuati in un elenco che si conclude con la possibilità di produrre “qualsiasi corrispondenza cartacea intercorsa tra le parti durante il rapporto di lavoro”.
Ora, il decreto del Ministero dell’Interno sembra tradire le finalità che il Decreto Rilancio si era posto: proprio i lavoratori irregolari, spesso vittime del caporalato, rischiano di non poter accedere alla procedura di cui all’art. 103 comma 2 perché non riusciranno a dimostrare di aver lavorato in nero, dato che difficilmente potranno fornire una qualche prova scritta del rapporto di lavoro.
E così persone già vulnerabili potrebbero ritrovarsi senza alcuna possibilità di emersione e con il rischio di ricadere nello sfruttamento e nel ricatto di chi offre contratti falsi a pagamento per “fare i documenti”.
In conclusione, si deve ritenere che anche gli stranieri già occupati irregolarmente nei settori di cui al comma 3 possano accedere alla procedura in esame poiché l’elenco ministeriale deve considerarsi non esaustivo e solo esemplificativo, ben potendo essere dimostrata l’attività lavorativa anche attraverso i controlli dell’Ispettorato del lavoro competente, in applicazione del comma 15 dell’art. 103 D.L. 34/2020 e dell’art. 10 c. 2 lett. b) del decreto ministeriale.
Avv. Filippo Cardaci
Studio Legale Paganini Cardaci